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Dottor Antonio
Il re dei cuochi della cucina vegetariana
196915 1896 , Milano , Premiata Ditta Editrice Paolo Carrara 45 occorrenze

Il re dei cuochi della cucina vegetariana

. Pressoi Romani, una brava ortolana, si teneva in concetto di bona ed economa madre di famiglia.

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«ma tenebroso ergastolo» si chiamava. I romani chiamavano ogni villa col nome di orto, onde Plinio, nel trattato delle 12 tavole delle leggi, sempre

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. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Unita alla grassa di porco, presso i Romani, era adoperata come cauterio efficacissimo. Come

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usitato presso i Romani tutti. E Virgilio:

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da cui lo spagnolo albaricoque e il nostro italiano albicocca. i Romani lo chiamavano: mela armeniaca. Al tempo di Plinio era rarissima. Egli con

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, eccellenti nella nefrite, idropisia, ritenzione d'orina. Vogliono concilii il sonno. Nel linguaggio dei fiori: Errore. I Romani la chiamavano herba

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è rammentato dalla Bibbia nell'Ecclesiaste. Gli antichi gli assegnavano molte virtù e ne usavano per cucina gli Egiziani ed i Romani, testi Dioscoride

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tempo degli imperatori romani, o dalla Sardegna, al dire di Bruyerius, e come leggesi in Ezio e Dioscoride. Le varietà principali, il castagno

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Anche i Romani adoperavano la castagna per farne la farina e pane, come si fa ancora oggidì presso alcune popolazioni. La castagna è da fuggirsi da

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Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esiliati per lunghissimo tempo e

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il cavolo era in venerazione, perciò giuravasi sulla testa del cavolo. La più celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta

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risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato, colla farina di cece mescolata ad olio, sale ed acqua, se ne fa tortellacci

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trito e misto ad aceto serviva per conservare le carni nell'estate presso i Romani. La manna degli Ebrei somigliava al seme bianco del coriandolo del

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serviva a constatare pure il decesso. Dalla fava ebbe nome la onorata e guerriera famiglia dei Fabi romani, dei quali Plinio scrive, che in una rotta

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. Cap. 7. I fichi presso i Romani erano impiegati a provocare lo sviluppo del fegato nei volatili. Fra i piatti, che Orazio numera, nella Satira del

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, salita su di un fico selvatico, s'accorse che i Galli, che assediavano Roma, erano ubbriachi ed immersi nel sonno e ne avvertì i Romani, che li sorpresero

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Tra gli eduli ricordo solo i più comuni ed i più sani: L'Agarico cesareo (fonsg coch) che era in gran pregio anche presso i Romani, e lo chiamavano

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scrisse: sono ghiotta cosa i funghi, e li chiamava: voluttuoso veleno. Chi avesse potuto far capolino nel tablinum dei Romani, vi avrebbe veduto i loro

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parla Serapione e Plinio al 12.° lib., c. 7. Ne parlò Lodovico Romano al G.° lib., c. 25, e Marco Paolo Veneziano al 12.° lib., c. 38. Presso i Romani

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il grato sapore che lascia in bocca. Dai Romani era chiamata Mora Vaticana e la mangiavano condita di molto zuccaro.

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maturità, onde i Romani d'una donna che tardi si maritava o che campasse gli anni di Matusalemme, dicevano: Maturior mora, ch'era più matura della

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môra ai viaggiatori assetati e affaticati dal caldo e dalla strada. Plinio dice che sono rinfrescanti. I Romani la mangiavano dopo il pranzo.

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oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fu dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione

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superstiziosi romani avevano la lente per mal augurio, onde Plutarco nella Vita di Crasso, riferisce che il suo esercito prese augurio della rotta ch'ebbe dall

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; ed era proverbio presso i Romani: ede nasturtium. I milanesi ad indicare piedi lunghi e larghi, alla moda inglese, chiamano le scarpe dei loro

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medicina, piuttosto che frutta alimentare. I Romani ne facevano del vino, ce ne informa Virgilio:

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che sia spontanea anche in Italia da tempi remotissimi. In Grecia avevano vanto le noci di Thaso in Tracia, e presso i Romani quelle di guscio fragile

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conosciuta dai Greci e dai Romani. Avicenna, antico medico arabo (n. 980+1037), la conosceva e dice che gli Arabi la chiamavano Jausiband, cioè noce

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dall'oliva è antichissima. La si trova citata nell'Esodo (cap. 27, 20) e nel Levitico (cap. 24, 2). Dal frutto verde immaturo i Romani estraevano un

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omogeneo dei gladiatori, i quali forse per ciò venivano chiamati Hordearii. Presso i Romani non godette molta fama. Es hordearium, veniva chiamato il

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riferisce Plinio. La pera è celebrata pure da quel ghiottone d'Orazio. Gli antichi Romani a tutte le specie preferivano la pera celebrata anche da

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della citazione latina. Erano celebri le pesche della Sabinia. I Romani amavano la specie duracina e la chiamavano pomo di Persia, malum persicum. Il

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pomo, era detto Falacer, e vi aveva un apposito sacerdote col relativo santuario. I Romani li facevano cocere nel vapore dell'aqua o sotto la cenere. L

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Francia se ne prepara vino, birra ed una certa specie di sciroppo. I Romani lo chiamavano armoracea, nome che ancor conserva. Al dire di Plinio, i

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notabili per la rotondità quelle di Cleone, piccolo villaggio non lungi dalia selva Numea, citato da Ovidio (Metam. 6) e per la lunghezza i Romani

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rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Nel linguaggio delle piante: Sei scipito. Pare che presso gli antichi

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una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e coniza (da qui l'altro nome popolare di coniella), che il volgo

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ricorda che era proverbio: abbisognare di sedano quelli che sono male in gamba: qui deplorata sunt valetudine. I Romani s'incoronavano di sedano nei

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Romani. L'una, quale press' a poco la facciamo noi oggi, e serviva per condire le rape, l'altra con pignola ed amido, che raggiungeva esimia bianchezza

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ed il commercio ne estesero l'uso ai Greci e poi ai Romani. Aristotile e il suo discepolo Teofrasto, tre secoli avanti l'êra volgare, divinarono la

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'ultima specie il tartufo cucinato dai Romani che serviva a dar sapore alla salamoja e ad altre irritamenta gulae. Gli Ateniesi concedettero ai figli di

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, solo i ricchi potevano aquistarlo per l'enorme prezzo a cui era salito. Il tartufo, com' era cibo ghiotto dei Greci e dei Romani, lo divenne, al

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Dei. È evidente che nè Greci, nè Romani ebbero notizie di Noè. I più antichi botanici pretendevano che la vite fosse originaria dall'Asia, che i Fenici

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fa pure un rob o sciroppo d'uva, che i Romani chiamavano sapa, che si ottiene riducendo il mosto a due terzi, od a metà, mediante lenta ebollizione ed

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(libro 3). Era tanta la venerazione che gli antichi portavano allo zafferano, che lo chiamavano il re dei vegetali. I Romani lo credevano atto a

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